Il Ghigno Nascosto
Quando mi accorsi che l’autunno giaceva accanto a me, tutto cominciò.
Avevo immaginato più volte come potesse essere, sapevo che sarebbe accaduto, ma non avevo la più pallida idea di quando e dove.
Ma soprattutto, era devastante.
La notte precedente avevo avuto i miei soliti incubi parlanti a farmi compagnia fino all’alba, il risveglio devastante come al solito generò idee confuse e urlanti che da subito avrei dovuto organizzare e tenere a bada.
Dovevo rovinare le loro vite e questo avrebbe rovinato la mia, un dettaglio questo il quale per adesso avrei trascurato, non mi importava quanto tempo ci avrei messo, i sacrifici che avrei dovuto abbracciare mio malgrado, la mia mente adesso era lì a guardare la fine e incosciente del percorso mi ordinò il da farsi.
Sono qui adesso, appena sceso dall’auto con le luci ancora accese e “Atrocities” che ancora suona dentro e che si mescola con la nebbia, con il freddo pungente di questa nuova giornata fatta di nuvole nere gravide di pioggia, foglie morte e cattivi propositi. Ho indossato quanto di più comodo e pesante avessi a disposizione adatto alla stagione e prima che arrivi natale ogni cosa sarà fatta. O distrutta.
Do un’occhiata in giro, scruto tra le tende dietro tapparelle ancora chiuse, luci di alberi di natale dimenticate accese o lasciate apposta per perpetuare lo spirito natalizio anche di notte e appena svegli ricordarci che nulla ci potrà accadere sotto le festività.
Siamo tutti più buoni in questo periodo, animiamo le nostre giornate gongolandoci nelle zuccherine espressioni che cerchiamo nei volti delle persone care o di semplici sconosciuti che incrociamo per strada con un solo pensiero in testa: che il natale è bello, e perché debba durare solo poche settimane, perché non riusciamo a vivere sempre con Babbo Natale che a nostra insaputa sta lavorando alla nostra felicità?
Bé questa risposta è sconosciuta perfino a me, ma se solo le persone scorgessero, dietro a quei visi sorridenti dei corpi erranti che ci intralciano la strada ogni giorno, i loro ghigni camuffati da beatitudine, forse cercherebbero altre risposte o se ne darebbero subito una concreta portandoli da subito a stare più attenti. Io farò una fatica boia a nascondere il mio, ma mi alleno ormai da tanto tempo e non posso sbagliare.
Dimenticavo una cosa. Oggi è venerdì 21 dicembre. Ho solo tre giorni per raggiungere il mio scopo. Sarò diretto. Spietato. Insensibile. Sorridente e definitivo.
Non era la prima volta che mi trovavo lì, parcheggiavo l’auto sempre in posti diversi ed ad almeno un chilometro dalla villetta, e spesso mi trovavo sotto violenti acquazzoni pomeridiani in compagnia del mio ombrello e delle mie Lucky Strike.
La via che costeggiava la casa era sempre deserta e io venivo solo in orari in cui nessuno degli abitanti era presente.
Mai a quell’ora però. La sensazione di freddo e umidità mi era familiare, così come lo era quell’esaltazione di profumi che sentivo. Mi ero aspettato di provare paura, come immaginavo che avessero paura le persone in situazioni come queste (chissà perché però riuscivo a pensare solo a personaggi visti nei film), ciò che non mi ero aspettato era la bellezza.
Dalla montagna era arrivava la nebbia. Le chiazze d’acqua formatesi sull’asfalto pietroso sotto il leggero chiarore della luna che con difficoltà era visibile, assumevano un aspetto inquietante come di opachi fantasmi che stavano risalendo dalle viscere della terra.
Momenti di rara bellezza.
2.
Brunella apre gli occhi come se avesse ricevuto uno strattone da qualcuno, non si abitua chiaramente subito all’oscurità, ma capisce che le prime luci dell’alba stavano avendo la meglio sulla notte anche se nessun sole li avrebbe aiutati. Guarda l’orologio e legge le 06:54, se non ci fosse stata l’ora legale sarebbe ancora stato buio pesto, si sentiva stanca e immediatamente di cattivo umore e nel momento in cui si gira verso destra, accendendo la sua abatjour, guarda suo marito dormire con la faccia tumefatta dal sonno dandogli un’espressione più deficiente del solito, quasi un ebete che per qualche strano motivo si era guadagnato un posto vicino a lei in un letto per di più matrimoniale. Non poteva immaginare di alzarsi e cominciare una nuova giornata. Lo odiava. Ma questo lui non solo non lo sapeva, lui non era in grado neanche di capirlo.
Brunella si alza prende la sua vestaglia felpata e senza fare nessuno sforzo per non far rumore, si avvicina alla finestra, scosta la tenda e valuta quanto sarà nera quella giornata e credendo forse di essere riuscita a farsi un’idea è assolutamente ignara che sta inconsciamente minimizzando la profondità di quel nero.
Indossa la vestaglia e pregusta con il pensiero un caffè nero e amaro come piace a lei, ha i calzettoni pesanti e non le va di mettersi le pantofole, da un’ultima occhiata a suo marito e si dirige in cucina.
La casa è avvolta nel buio e nel silenzio, nella stanza dei ragazzi non si sentono rumori e arrivata quasi a metà scale il senso di pesantezza comincia ad abbandonarla piacevolmente mentre dei brividi di freddo la percuotono come un tamburo. Accende la luce della cappa, il fuoco alla caffettiera che la sera prima aveva preparato e con la coda dell’occhio scorge qualcosa fuori nel giardino.
Si blocca e il respiro le si ferma in gola, il piezoelettrico continua a ticchettare, ma lei non lo ascolta, i suoi pensieri vanno veloci, pensa al cane e al fatto che se fuori ci fosse qualcuno abbaierebbe come un dannato, la radio sveglia dalla stanza da letto scatta su radio2 e una musica decisamente inadatta irrompe in tutta la casa con molto più veemenza di quello che dovrebbe, Brunella sussulta.
Sono le 07:00.
3.
Non avevo calcolato la quasi totale assenza di luce in quel tratto di strada anche perché non ero mai stato lì di notte, avevo tralasciato una cosa importante, ma adesso era troppo tardi per i rimproveri, in qualche maniera avrei fatto e dovevo inventarmi qualcosa in fretta per vedere per lo meno le tacche del bicchierino da sciroppo dove avrei messo 20 gocce di fiori di bach e circa 20 ml di cognac. Mancavano circa quindici minuti alle sette e io sapevo che a quell’ora sarebbe suonata la sveglia del porco. Porco del quale non avrei buttato nulla.
Appena acceso il flash del cellulare incominciai a pensare quale fosse la posizione giusta e dove metterlo affinché mi arrivasse la giusta luce, ma dopo pochi tentativi decisi di metterlo in bocca chiudendolo tra i denti rivestiti dalle labbra e sperando che la salivazione non risultasse eccessiva e in pochi secondi dover desistere da quell’idea. C’era tanto silenzio attorno a me, troppo buio e troppo disagio che via via stavo elaborando.
"Resisti ancora un po’" dissi in maniera poco chiara riferendomi alla mia presa sul cellulare, ma non fu tanto la saliva a farmelo togliere immediatamente dalla bocca, quanto il freddo che si era insinuato dentro e tra i denti, che mi strappò una smorfia di dolore seguito da brividi che partendo dalla nuca raggiunsero ogni dove.
I fiori di Bach erano stati versati nel bicchierino in maniera corretta, credevo invece di aver abbondato con il cognac, ma non avevo tempo per fare altre prove, il cellulare nel frattempo mi era caduto a terra e avendo perso il tappo del fiaschetto di cognac versai il resto a terra e conservato il contenitore nel giubbotto, guardai l’orologio nervosamente e appena alzai gli occhi vidi già Leo che si avvicinava scodinzolando, ma senza abbaiare. Leo non stava abbaiando. Mesi e mesi di prove e carezze saltando al di là del cancello, ma nonostante tutto poteva, data l’ora insolita, non capire chi fossi e abbaiare come sapeva fare lui (viaggi a vuoto scappando come un ladro, una marea), ma questo non successe.
"Piano Leo, non fare rumore, bravo cagnolone, adesso però guarda qua…"
4.
Due cose avevo imparato sui cani. All’inizio sembrano essere in totale simbiosi con i loro padroni. Questa condizione col tempo può migliorare, nettamente.
Conoscevo a memoria ormai li spostamenti della famiglia, sempre uguali a cadenza regolare e l’ostacolo principale da subito fu Leo un cane di cui ancora oggi non conosco la razza.
Ho sempre avuto un timore celato dei cani e Leo non era proprio piccolo come stazza, diciamo pure che era quanto di più vicino ad un pony con un muso da cane.
Cosa si può fare con un po’ di carne tritata e ben condita e qualche carezza (le prime volte la diffidenza lo portò anche ad azzannarmi la mano per fortuna con scarsi risultati), risultò veramente sorprendente, come sorprendente fu scoprire che Leo andava matto per il chinotto. Penso fu la cosa che consacrò la nostra amicizia, da lì passai poi a saltare al di là del cancello (inizialmente distraendolo con una polpettina succulenta tirata un po’ più la), passando anche un paio d’ore a giocare scalciando la sua palla (lui la rincorreva, la addentava, la strapazzava un po’, me la rendeva) e a volte testando i fiori di bach su di lui. Risultati che ottenni solo dopo un po’ di tempo. Leo con venti gocce e un dito di cognac stramazzava a terra in un sonno profondo in soli tre minuti. Perfetto.
...continua...